Per raccontarti di questa storia, che parte da molto lontano, vorrei portarti dall’altra parte del mondo.
Prendi una cartina, ce ne sarà bisogno…
L’hai presa?
Ottimo, punta il dito in alto, sulla sinistra. Sì, sugli Stati Uniti
d’America.
Ci sei? Okei, ora guarda sulla costa che si affaccia sull’oceano
pacifico.
Ecco!
Lì c’è la West Coast.
Alcuni la chiamano Pacific Coast.
(Coincidenze? Io non credo.)
Ma lascia stare i complotti, e zoomma sulla California.
Taaac, Federica, la protagonista di questa storia è proprio lì.
Ora, se sei come me, San Francisco non ti dirà granché.
Magari qualche immagine di un ponte luuuungo e rosso, il
sali-e-scendi delle strade e i prezzi degli affitti alle stelle.
Ma se sei come i nostri amici di fancytoast, San Francisco
rappresenta molto di più.
Perché è proprio a San Francisco che è iniziato il tutto.
Infatti, distante 9.570,20 km da casa, Federica, stava guardando il
piatto che la giovane cameriera aveva appena appoggiato sul tavolo.
Quello che si trovava nel piatto, non era ciò che si aspettava.
E nemmeno lo sguardo della cameriera era ciò che si aspettava.
E non si aspettava nemmeno che, da lì a qualche minuto, sarebbe
cambiato davvero tutto.
Ma quello che aveva nel piatto non sembrava affatto uno di quei toast
che era abituata a mangiare a Milano.
I toast — a meno che la memoria non la ingannasse — se li ricordava
con prosciutto e sottiletta racchiusi tra due fette sottili di pane
tostato, e non come quello che la cameriera dallo sguardo stranito
le aveva appena appoggiato sotto al naso.
Invece, quello che aveva
nel piatto lei, e quello che avevano nel piatto tutti gli altri
ospiti del locale, era:
– Composto da una megafetta di pane alta almeno 2 centimetri e
mezzo
– Aperto
– Strapieno di ingredienti
E questo ci poteva pure stare — del resto chi era lei per
insegnare loro cosa e come mangiare — ma quello che veramente la
lasciò basita fu scoprire le bevande con le quali erano soliti
accompagnare quello che loro definivano “toast”:
Caffè.
O lemonade.
«Vabbè, Federica» si disse tra sé e sé, «Tanto non ti ammazzerà,
e poi hai decisamente fame, azzanna quello che loro definiscono
“toast” e facciamola finita.»
Quindi non ci pensò più di tanto e diede il primo morso a quello
che loro definivano “toast”, non sapendo bene cosa aspettarsi.
Certo, non era come il toast che le faceva mamma da piccola per
merenda e certo, non era niente di lontanamente paragonabile ai
sapori ai quali era abituata e ancora più certo aveva ancora qualche
dubbio a riguardo, però non era così malaccio!
Il pane era croccante fuori, morbido dentro. Inutile negarlo: si
sposava davvero bene con la grassezza dell’avocado e la sapidità
dell’uovo e, odiava ammetterlo, il caffè era un abbinamento insolito
ma decisamente azzeccato!
E, se al secondo morso qualche certezza, dentro di lei, cadde, al
terzo morso ne fu conquistata.
Non solo dal toast in sé, ma anche dal “mood” che regnava sovrano
nel locale: erano tutti rilassati, sorridenti e spensierati.
E di colpo si sentì così anche la nostra amica Federica.
Guardò la cameriera dallo sguardo stranito e — anche se non
sarebbe pronta, oggi, a giurarlo — le sembrò di leggerle sul labiale
qualcosa che suonava molto come un «Te l’avevo detto, bionda!»
Qualcosa, quel giorno, dentro la nostra amica Federica, era
cambiato.
Non rimaneva che costruirci attorno il lampadario.
E non passò molto tempo prima che il lampadario prendesse forma.
Infatti, ora l’aveva costruito.
E ok.
Però adesso lo stava guardando come si guarda un’opera
incompleta.
Nessuno si stupì quando, subito dopo, lo ruppe in
mille pezzi.
E poi i mille pezzi li aveva trasformati in centinaia di
migliaia di pezzettini.
E i pezzettini erano diventati milioni di miliardi di piccole
particelle.
Poi le aveva ricomposte insieme.
E adesso erano un… un…
O almeno su carta.
Da quel morso rivelatorio, in quel locale di San Francisco, a
9.570,20 km da casa, erano passate due settimane.
E Federica era tornata nella sua bella Milano.
Ma non aveva
smesso nemmeno per un secondo di pensare a quei toast epici.
Anzi, per essere precisi, non aveva smesso di
mangiarli da quel giorno.
Diciamola tutta: si era perdutamente innamorata di quei
toast.
E, come ogni innamorato che si rispetti, non vedeva l’ora di
parlarne con chiunque.
E così fece.
Ne parlò con amici, colleghi, parenti, conoscenti e perfino
con perfetti sconosciuti. Parlava di “fette alte un inch”,
di “super-stuffed toast” e di west coast, bay
area e luuuunghissimi ponti rossi.
Organizzò colazioni, pranzi, aperitivi, cene e spuntini di
mezzanotte a base toast, e invitò tutti quelli che incrociavano
la sua strada.
Tra tutti, incontrò i nostri amici di fancytoast.
Anche loro furono rapiti dal primo morso, e convennero con
lei che sì, che in tanti altri si sarebbero potuti innamorare di
quegli epici toast che arrivavano direttamente da San Francisco!
Così l’idea divenne progetto, e il progetto, realtà.
Anzi, divenne il locale che si era immaginato Federica.
In Piazza della Trivulziana 5, Bicocca, a Milano.
Un locale che fa del fancytoast e — the epic toast from west
coast — e del mood californiano la sua bandiera!
E, come forse avrai intuito, il fancytoast è un toast epico,
aperto, “stuffed”, coloratissimo e…
…beh, se sarà anche buonissimo dovrai dirlo tu ai nostri
amici di fancytoast!
A proposito, se vuoi cogliere l’occasione di provarlo e dare
ai nostri amici di fancytoast il tuo parere, puoi farlo.
Li trovi in Piazza della Trivulziana 5, a Bicocca, a due passi dalla metropolitana e del tram.
Se vorrai andare a trovarli, per un toast, un americano o uno
dei loro juices, so che farà loro davvero piacere.
Fino ad allora, lascia un pollicione verso il cielo su questa pagina,
così non ti perderai nessuna novità.
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Hella-fancy!
Roy
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