La storia del Toast che ti farà cambiare idea — Parte 2

Fede aveva ordinato un toast.

Ma quello che aveva nel piatto non sembrava affatto uno di quei toast che era abituata a mangiare a Milano.

I toast — a meno che la memoria non la ingannasse — se li ricordava con prosciutto e sottiletta racchiusi tra due fette sottili di pane tostato, e non come quello che la cameriera dallo sguardo stranito le aveva appena appoggiato sotto al naso.

Invece, quello che aveva nel piatto lei, e quello che avevano nel piatto tutti gli altri ospiti del locale, era:
– Composto da una megafetta di pane alta almeno 2 centimetri e mezzo
– Aperto
Strapieno di ingredienti

E questo ci poteva pure stare — del resto chi era lei per insegnare loro cosa e come mangiare — ma quello che veramente la lasciò basita fu scoprire le bevande con le quali erano soliti accompagnare quello che loro definivano “toast”:
– Caffè.
– O lemonade.

«Vabbè, Federica» si disse tra sé e sé, «Tanto non ti ammazzerà, e poi hai decisamente fame, azzanna quello che loro definiscono “toast” e facciamola finita.»

Quindi non ci pensò più di tanto e diede il primo morso a quello che loro definivano “toast”, non sapendo bene cosa aspettarsi.

Uhm!

Certo, non era come il toast che le faceva mamma da piccola per merenda e certo, non era niente di lontanamente paragonabile ai sapori ai quali era abituata e ancora più certo aveva ancora qualche dubbio a riguardo, però non era così malaccio!

La croccantezza esterna del pane ai 7 cereali, la sua morbidezza interna, si sposavano davvero bene con la grassezza dell’avocado e dell’uovo e, odiava ammetterlo, il caffè era un abbinamento insolito ma decisamente azzeccato!

E, se al secondo morso qualche certezza, dentro di lei, cadde, al terzo morso ne fu conquistata.

Non solo dal toast in sé, ma anche dal “mood” che regnava sovrano nel locale: erano tutti rilassati, sorridenti e spensierati.

E di colpo si sentì così anche la nostra amica Federica.

Guardò la cameriera dallo sguardo stranito e — anche se non sarebbe pronta, oggi, a giurarlo — le sembrò di leggerle sul labiale qualcosa che suonava molto come un «Te l’avevo detto, bionda!»

Qualcosa, quel giorno, dentro la nostra amica Federica, era cambiato.

E una lampadina si era accesa.

Non rimaneva che costruirci attorno il lampadario.

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